In questi ultimi giorni sono stati pubblicati alcuni articoli a proposito di un presunto un taglio di 50 milioni di euro sui capitoli di bilancio relativi alle pensioni di guerra e ai trattamenti a favore degli ex-deportati e dei perseguitati politici e razziali, per coprire i costi della cosiddetta "pace fiscale" stabilita dal Governo con il suo ultimo provvedimento finanziario.
Questa notizia ha ovviamente causato sconcerto e preoccupazione, specialmente alla luce di quanto accaduto in passato durante le sessioni di bilancio.
A questo proposito va chiarito che il taglio effettivamente esiste (elenco 1 allegato al decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119), ma è attualmente previsto a valere solamente per l'esercizio 2018 e che non vi è nessuna norma che prevede una qualsivogla diminuzione dei trattamenti pensionistici di cui sopra.
Tale circostanza e il fatto che ci troviamo nelle ultime settimane dell'anno lascerebbero presumere che al momento, più che di un taglio, si tratti dell’impiego di residui derivanti dalla naturale diminuzione del numero dei beneficiari. Il taglio infatti corrisponde a circa l'8% dello stanziamento complessivo e questa è grosso modo la percentuale di diminuzione della spesa che si è registrata negli ultimi anni per le pensioni di guerra e per gli altri trattamenti che fanno capo allo stesso capitolo.
Ad ogni modo, dal momento che la storia recente ci ha insegnato che in materia di pensioni di guerra non possiamo e non dobbiamo tenere bassa la guardia, l'Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra si è prontamente attivata, chiedendo al Ministro dell’Economia Giovanni Tria urgenti rassicurazioni ed un incontro sulla natura di questo taglio, ricordando la speciale natura risarcitoria delle pensioni di guerra e dei trattamenti a favore degli ex-deportati e dei perseguitati politici e razziali e lamentando ancora una volta il mancato utilizzo delle economie risultanti dal calo del numero dei beneficiari per aumentare le pensioni stesse, il cui importo è fermo ormai da oltre 30 anni.